sabato 31 dicembre 2011

2011, anno nero per gli elefanti


Sequestrate in 12 mesi 25 tonnellate di avorio pari a 2.500 elefanti

Un anno color sangue. Verrà ricordato così il 2011 per gli elefanti che purtroppo, più che mai nell'ultima decade, sono caduti vittime del contrabbando del commercio dell'avorio, con almeno 13 sequestri di oltre 800 chili ciascuno contro i sei del 2010. Lo ha annunciato oggi Traffic, organizzazione specializzata nella sorveglianza del commercio illegale delle specie protette la cui sede è in Gran Bretagna. Traffic ha stimato a 23 tonnellate il totale dei 13 principali sequestri: un quantitativo che corrisponde a circa 2.500 elefanti contro le 10 tonnellate dello scorso anno dei sei sequestri.

"In 23 anni di dati raccolti da Traffic, il 2011 è il peggiore anno, un anno terribile per gli elefanti", ha sottolineato Tom Milliken, specialista nel commercio illegale degli elefanti per conto di Traffic.

Il traffico di avorio è in aumento dal 2007, secondo Traffic. I sequestri più importanti degli ultimi 12 mesi sono stati effettuati nei porti del Kenya e della Tanzania. L'ultimo in termini di tempo, il 21 dicembre: 727 pezzi di avorio nascosti in un container nel porto di Mombasa, nel Kenya orientale, e diretti in Asia.

"L'aumento dei sequestri nel 2011 riflette sia un incremento della domanda in Asia sia la sempre maggiore abilità delle bande criminali implicate nel traffico", dichiara Milliken citato in un comunicato di Traffic. La maggior parte dell'avorio africano illegale è destinata alla Cina e alla Thailandia.

La Malesia è servita da transito in sei dei 13 sequestri più grossi dell'anno, sottolinea Traffic. A fine 2011, le dogane vi hanno sequestrato 1,4 tonnellate di avorio, nascosto in un container che dal Kenya era diretto in Cambogia.

da lazampa.it 30 dicembre 2011

giovedì 22 dicembre 2011

Decimato il branco di renne più grande al mondo

La denuncia di Survival: negli ultimi decenni gli esemplari ridotti del 92%

Colpa dei progretti industriali su larga scala

Proprio nei giorni in cui sono protagoniste, insieme a Babbo Natale, di molti racconti fatti ai bambini, dal Canada giungono pessime notizie per le renne. Il branco più grande del mondo si sta riducendo sempre più. Secondo gli indigeni che abitano la penisola del Labrador-Quebec, la colpa è da imputare all’aumento, sul territorio, di progetti industriali su larga scala. Lo rende noto l’organizzazione Survival International. Il branco del fiume George - si legge in una nota - che prima contava 800-900 mila esemplari, è composto oggi a malapena di 74 mila renne: un crollo di circa il 92%.

Il branco si muove nella vasta tundra del Quebec e del Labrador, nel Canada orientale. Conosciuti nell’America Settentrionale come caribù, questi animali sono fondamentali per la cultura dei popoli Innu e Cree. Tuttavia, negli ultimi decenni, una vasta porzione del territorio delle renne è stata sconvolta da una serie di enormi progetti. Secondo gli Innu, le miniere di ferro, gli allagamenti provocati dai complessi idroelettrici e la costruzione di strade hanno causato la scomparsa di molti esemplari.

«I caribù - ha detto a Survival International Georges-Ernest Gregoire, capo anziano degli Innu - occupano un ruolo centrale nella nostra cultura, nella nostra vita spirituale e nella nostra società, ma tutti gli enormi progetti di "sviluppo" che sono stati implementati nella nostra terra negli ultimi quarant’anni hanno avuto un impatto crescente sul numero dei caribù. È per questo - ha aggiunto Gregoire - che abbiamo bisogno di controllare direttamente i nostri territori ed essere coinvolti nelle decisioni che riguardano le nostre terre e gli animali che ci vivono».

Un altro membro degli Innu, Alex Andrew, ha commentato: «Secondo i nostri anziani, gli animali saranno i primi a patire gli effetti di tutti questi danni. La catena alimentare si spezzerà e molti finiranno col soffrire. I programmi di sviluppo, come quelli idroelettrici, minerari, stradali e di deforestazione, creeranno solo altri problemi alla sopravvivenza degli animali».«Se siamo davvero preoccupati dell’impatto che il mondo naturale ha sulle nostre vite e viceversa - ha dichiarato Stephen Corry, direttore generale di Survival - anzichè limitarci a osservare la natura e la televisione, dovremmo cominciare ad ascoltare i popoli tribali. Loro sanno quello che dicono. Per gli Innu, le renne non arrivano solo a Natale».

da La Zampa.it 22 dicembre 2011

lunedì 19 dicembre 2011

Finisce la corsa dell'ippica italiana ?

Dal prossimo anno l’attività degli ippodromi basata su corse e scommesse potrebbe crollare e gran parte degli stadi ippici potrebbe sospendere l’attività.

Sembra ormai difficile programmare l’attività ippica per il 2012 perché le risorse non sono più sufficienti secondo l’Assi, Agenzia sviluppo settore ippico: “ Da gennaio parecchi ippodromi del nostro Paese chiuderanno, mettendo in atto tutte le operazioni che avviano la chiusura definitiva delle aziende che non hanno un presente né tanto meno un futuro”.

Un tracollo generale, un dramma economico per quasi 50 mila addetti del settore tra allenatori, guidatori, fantini, allevatori, artieri, impiegati nelle società di corse e negli ippodromi. Non è trascorso neanche un decennio dall’ultima corsa di Varenne, settembre 2002, eppure l’ippica italiana pare precipitata nel baratro. In realtà un dramma anche per i 20.000 cavalli coinvolti. Mentre permane il fenomeno diffuso delle corse clandestine ( ancora qualche giorno fa i NAC sono intervenuti nell’area di Salerno ) e dell’uso di animali di varie specie in combattimenti con scommesse.

Anni di gestione discutibile e di giochi politici da parte dell’Unire (Unione nazionale incremento razze equine), di recente sostituita dall’Assi, hanno portato alla crisi, resa ancora più grave da quella generale del Paese. Tutte le cifre di bilancio sono in negativo, a cominciare dal previsto dimezzamento per il 2012 del montepremi, cioè dei soldi distribuiti nelle varie corse ai proprietari dei cavalli meglio piazzati al traguardo. E poiché è di fatto il principale mezzo di sostentamento degli ippici, è facile capire come tutto il sistema sia destinato al fallimento. La crisi coinvolge molte migliaia di persone che perderebbero il lavoro senza contare il destino incerto di quasi 20.000 cavalli.

Per gli animalisti potrebbe anche esserci un sospiro di sollievo e di soddisfazione ma le cose non sono per niente così semplici. A parte il destino degli occupati, per i quali servono ipotesi di conversione della loro attività, c’è il rischio dell’aumento delle corse in clandestinità, e per i cavalli, a parte quei pochi che possono essere venduti all’estero, per molti si presentano ipotesi drammatiche di eliminazione.

Il problema richiederebbe l’apertura di una ampia discussione, su base nazionale e su base regionale e locale, su una possibile conversione del settore che dia un futuro ai cavalli, che permetta una attività diversa dei dipendenti, che apra alla sperimentazione di nuove attività, specie per giovani e bambini, con un diverso e più approfondito rapporto con questi animali e con i loro diritti…. specie quello alla sopravvivenza..

(mm)