giovedì 13 ottobre 2016

Bracconaggio: è allarme. In Italia uccisi illegalmente 8 milioni di uccelli all’anno




Otto milioni: questa è la cifra impressionante di uccelli che ogni anno, nel nostro Paese, sono vittima di bracconaggio, un fenomeno che si sta diffondendo con crescente rapidità. A denunciarlo è il Dossier “FurtodiNatura: storie di bracconaggio Made in Italy“, presentato di recente dal WWF.


A rendere l’Italia così esposta all’uccisione, alla cattura e al commercio illegale di uccelli selvatici è la sua particolare posizione geografica, che la vede crocevia naturale per importanti rotte migratorie, tra Europa e Africa. Aquile, falchi, civette, cicogne, gufi e il rarissimo ibis eremita sono solo alcune delle specie protagoniste nei traffici illeciti dei bracconieri. Ma oltre agli uccelli, vittime di questa pratica criminale sono anche pesci, rettili e numerosi mammiferi marini e terrestri.
Come evidenziato nel Dossier, le forme più diffuse di bracconaggio sono quelle maggiormente radicate nel territorio, che spesso vengono “tollerate o protette da un diffuso atteggiamento di compiacenza e omertà“. Gli esempi più noti includono:
  • L’uccisione di piccoli uccelli per la preparazione di ricette locali nelle valli bresciane, in Veneto e in Sardegna;
  • La cattura di uccelli canori con gli archetti nelle valli alpine;
  • L’uccisione a fine ricreativo e tradizionale di rapaci in migrazione sullo Stretto di Messina;
  • La cattura di passeriformi destinati essere utilizzati a fini amatoriali o come richiami vivi;
  • L’abbattimento a scopo ricreativo di uccelli acquatici nelle zone umide del Casertano durante i mesi primaverili;
  • L’uccisione di istrici nella Maremma toscana e laziale per la preparazione di pietanze;
  • L’abbattimento di lupi e orsi con veleno, armi da fuoco e trappole, per ritorsione verso ipotizzati danni, lungo tutto l’arco appenninico e sulle Alpi;
  • L’uccisione di lepri a fine culinario, con appostamenti notturni e uso di abbaglianti;
  • La mattanza di altri piccoli mammiferi, come i ghiri in Aspromonte, a scopi alimentari;
  • L’abbattimento illegale, notturno, fuori dal periodo venatorio e in aree protette, di ungulati in gran parte d’Italia.
A essere colpite, quindi, sono indistintamente specie protette e non, così come del resto il fenomeno riguarda l’intero Paese, senza alcuna eccezione. Non manca inoltre un legame con la criminalità organizzata. I bracconieri spesso contattano la malavita per l’acquisto di armi modificate o con matricole cancellate. Nell’area del casertano, i bunker interrati per gli appostamenti degli animali sono stati per diversi anni affittati dai criminali e non va dimenticato il mercato nero della fauna selvatica, che in località come Ballarò a Palermo e Sant’Erasmo a Napoli fruttano 250.000 Euro di “fatturato” all’anno.
Il quadro dipinto dal Dossier WWF non è affatto rassicurante, insomma, e fa al contrario intuire che il bracconaggio sia una realtà radicata e non destinata a ridursi. Come sottolineato dall’associazione ambientalista, l’esperienza passata ha dimostrato come l’azione delle Guardie volontarie ambientali, combinata a un presidio continuo sul territorio da parte delle Forze dell’Ordine e delle ONG, “permetta di contenere in modo sensibile il fenomeno” e come, in assenza di controlli costanti, risulti “assai probabile una recrudescenza delle uccisioni illegali“.
Malgrado esistano a tutti i livelli importanti leggi finalizzate a tutelare la fauna, a ridurne la mortalità innaturale e a contrastare il bracconaggio, il sistema di controlli ambientali nel nostro Paese presenta ancora troppe lacune, tra cui un meccanismo sanzionatorio inadeguato, tempi di prescrizione dei reati troppo brevi, metodi investigativi obsoleti e una burocrazia inefficiente. Ad aggravare la già delicata situazione, secondo il WWF, è sopraggiunta la riorganizzazione del Corpo Forestale dello Stato, l’unica forza di Polizia specificamente formata nella prevenzione e repressione dei reati ambientali.
La speranza per l’associazione e per tutti noi difensori dell’ambiente è che il complesso riassestamento che interesserà il Corpo Forestale non lasci ulteriore campo libero ai bracconieri e agli ecocriminali in generale. La salvaguardia della natura non può aspettare.

* da www.ehabitat.it    6 ottobre 2016   

martedì 2 febbraio 2016

La stagione della caccia è finita. Ecco tutte le vittime, tra bambini, animali e ambiente



di  Stefano Carnazzi *

La stagione della caccia sta finalmente finendo. Con due costanti. Una, le vittime. Due, secondo l'Eurispes 8 italiani su 10 sono contrari alla caccia. Tra chiusure anticipate della caccia a diverse specie in Umbria, in Toscana, in Veneto, in Puglia e quasi in Friuli Venezia Giulia e un bollettino di guerra – sedici morti e 64 feriti, tra cui tre minori, da settembre dello scorso anno a gennaio – si conclude la stagione della caccia. Gli EcoRadicali hanno creato una mappa online sugli incidenti in Italia, tanto per capirsi.

Le vittime umane: cacciatori e bambini
Dei 64 feriti dell’ultima stagione venatoria, un quarto sono persone estranee alla caccia. Restringendo la cifra solo ai bambini, dal 2007 a dicembre 2015 sono stati uccisi undici minori, 23 i bambini feriti, secondo l’Associazione vittime della caccia.  Stando all’ultimo rapporto Eurispes otto italiani su dieci sono contrari alla caccia: è ancora favorevole solo un quinto della popolazione (21,2%), contro il 24,4% dello scorso anno.

Le vittime non umane: in un anno uccisi oltre 154 milioni di animali
Fare una stima degli animali uccisi è difficile. Ogni stagione venatoria prevede un massimo numero di animali che possono essere abbattuti, che naturalmente nessuno controlla né fa rispettare, perché è impossibile. Proiettando i dati del numero massimo di animali che possono essere uccisi ogni anno in Veneto, Lombardia, Sicilia e Toscana si arriva a 154 milioni di esseri viventi. Una cifra calcolata per difetto visto che i cacciatori è improbabile che rispettino collettivamente il numero massimo di animali da uccidere.

La vittima ambiente
Secondo un calcolo basato sul numero medio di colpi esplosi annualmente da ciascun cacciatore, si è stimato che nel 1980 in Italia venissero utilizzate 1.100.000.000 cartucce, scese a circa 700.000.000 alla fine degli anni ’80 a seguito della diminuzione del numero delle licenze; sulla base di questi conteggi, la caccia regala al nostro paese qualcosa come 25mila tonnellate di piombo. Sarebbero 500 milioni le cartucce sparate in un anno, e a raccoglierle tutte se ne farebbe un mucchio di 11mila metri cubi. Numerose ricerche hanno dimostrato come il munizionamento da caccia rappresenti una fonte non trascurabile di inquinamento da piombo, in grado di avvelenare gli uccelli selvatici, contaminare il terreno e determinare un rischio sanitario per l’uomo. Il piombo avvelena il terreno e le acque, facendo ammalare di saturnismo gli animali. E non solo.

* da    www.lifegate.it   31 gennaio 2016