sabato 23 aprile 2011

Il pesce sta finendo

The End of the Line - Il capolinea

Esce anche in Italia, all'interno della collana Real Cinema edita da Feltrinelli con la collaborazione della associazione internazionale Slow Food, Al Capolinea - The End of the Line, di Rupert Murray, in concorso al 13° CinemAmbiente e vincitore della menzione speciale Green Cross all 'interno della sezione Documentari Internazionali. ( Per approfondire scarica il comunicato).

Mari e oceani senza più pesci già nel 2048. È questo lo scenario più probabile se i ritmi e i tempi della pesca continueranno con gli stessi parametri di oggi. Rupert Murray ha accompagnato così Charles Clover (dal cui omonimo bestseller il documentario è tratto) in un viaggio che dallo stretto di Gibilterra ci porta fino alle coste del Senegal e dall’Alaska fino al mercato del pesce di Tokyo per descrivere quello che sta diventando un vero sterminio di massa dalle conseguenze tragiche e devastanti. Molte infatti le specie a rischio di estinzione, come il tonno rosso che a causa della domanda sempre maggiore di sushi ha poche possibilità di sopravvivenza.

La tesi di fondo del film, quella della pesca sostenibile, espressa anche da Slow Food, non è condivisa da molti gruppi animalisti che affermano la scelta vegetariana-vegana come soluzione anche di questo problema. Resta il forte effetto di denuncia del documentario per una situazione ormai insostenibile.

Il regista Rupert Murray ha già diretto e montato Unknown White Male che è stato presentato nel 2005 al Sundance Film Festival ed e' stato candidato a numerosi premi come il British Independent Film Award.

Il 15 Marzo si è chiuso il bando per la partecipazione delle opere al 14° CinemAmbiente - Environmental Film Festival, che si terrà a Torino dal 31 maggio al 5 giugno, in occasione della Giornata Mondiale dell'Ambiente promossa dall 'UNEP.

sabato 16 aprile 2011

A che serve la caccia?


L' impatto ecologico della caccia

Il nuovo libro di Carlo Consiglio e Vincenzino Siani esamina nella sua complessità la realtà della caccia.

Medico studioso dell’alimentazione e appassionato archeologo, Vincenzino Siani ci accompagna in un viaggio dal Paleolitico all’inizio della storia.

Ecologista e naturista appassionato ma al contempo studioso e ricercatore naturalista rigoroso e documentato, Carlo Consiglio ci accompagna in un ulteriore viaggio dai Romani all'epoca attuale, offrendo una disamina chiara e sintetica dell’evoluzione del diritto di caccia fino ai giorni nostri e l’anomalia della caccia in Italia nel panorama mondiale.

Inoltre Consiglio, con un’ottica strettamente scientifica, discute e demolisce le teorie che vorrebbero un’utilità della caccia (i “nocivi” non sono tali!), anzi demolisce anche le teorie che ammettono la compatibilità della caccia con la conservazione della natura ed illustra i vari effetti secondari della caccia tra cui la realtà del disturbo venatorio, degli inutili ripopolamenti e degli animali feriti e braccati, nonché l’assurdità delle stagioni venatorie e delle specie cacciabili scelte con criteri politici e non scientifici, tanto più che è provato che i cacciatori non riconoscono le specie!...

Scritto con agilità e raro dono di sintesi è un testo scientifico che offre tutti i dati necessari e utili per la comprensione e la valutazione del fenomeno caccia ,sia al lettore comune che si vuole ben documentare sul problema, sia agli addetti ai lavori e legislatori della materia.
Alla fine non ci si potrà esimere dalla domanda che sorge spontanea: ma a che serve la caccia?

FioriGialli edizioni pag. 176 euro 14

E' uscito il quarto numero di PELO & CONTROPELO


Questo numero è di 8 pagine

lo trovate su Facebook:

http://www.facebook.com/profile.php?id=1200662627#!/group.php?gid=139603566079544


o sul blog La Cincia:

http://www.lacincia.it/docs/pelo_contropelo_20110404.pdf


GLI ANIMALI CHE SOFFRONO NON SONO KASHER !

Gherush92



Non è lecito infliggere ad un animale sofferenza, a maggior ragione se questa viene progettata, organizzata e perpetrata negli allevamenti intensivi su scala industriale, cioè moltiplicata per milioni e milioni di esseri viventi ogni anno. Negli allevamenti intensivi, nei quali vivono anche gli animali destinati all’alimentazione kasher, questi subiscono, senza scampo, crudeltà inenarrabili, solo per aumentare il profitto e per assicurare, a tutti e sempre, una quantità eccessiva di carne.

Questi allevamenti sembrano contraddire tutte le norme ebraiche che prescrivono il rispetto verso gli animali e in molti casi somigliano a veri e propri campi di sterminio. D’altra parte, c’è chi pensa, forse per tentare di giustificare azioni scellerate, che l’uomo sia il principale destinatario dell’opera della creazione: “Si sono convinti che l'uomo, il peggior trasgressore di tutte le specie, sia il vertice della creazione: tutti gli altri esseri viventi sono stati creati unicamente per procurargli cibo e pellame, per essere torturati e sterminati. Nei loro confronti tutti sono nazisti; per gli animali Treblinka dura in eterno.” (Isaac Bashevis Singer). Gli allevamenti intensivi sarebbero luoghi da abolire e, invece, sono catene di montaggio di esseri viventi ridotti ad oggetto, a servizio dell’uomo moderno.

C’è da considerare che la sofferenza degli animali negli allevamenti intensivi certamente provoca un’alterazione dello stato fisico e psichico, perché un animale che vive in cattività, in condizioni estreme e solo per essere ammazzato, inevitabilmente si ammala.

Come può un animale reso ammalato essere kasher?

Come dice Foer in "Se niente importa. Perchè mangiamo gli animali?", bisognerebbe attentamente riflettere su cosa sono gli allevamenti intensivi, cosa è la sofferenza degli animali e quali sono le sue conseguenze. Non basta che gli animali siano uccisi secondo le norme della shechità, ma è necessario garantire loro di nascere, crescere, riprodursi e vivere, secondo il proprio ciclo biologico, senza patire alcuna sofferenza come, invece, avviene sistematicamente negli allevamenti nei quali vivono costretti. Gli allevamenti intensivi, inoltre, pongono gravi problemi di inquinamento ambientale e sulla salute degli uomini, che non devono essere trascurati.


Nella Torà sono prescritti precisi obblighi verso gli animali ed è insegnato il rispetto e il comportamento di gentilezza e misericordia verso di loro. Agli animali è garantito il riposo; sono protetti nella fatica e nel lavoro; devono essere aiutati quando si smarriscono; devono essere protetti se in difficoltà; agli animali deve essere evitata sofferenza gratuita. Nella Torah, dunque, sono riconosciuti i diritti degli animali.

Ricordiamoci sempre che “… gli animali non possono essere allevati solo e soltanto per essere mangiati e che gli alberi non possono essere coltivati solo e soltanto per essere tagliati” (Linee Guida per la Protezione della Diversità Culturale, Gherush92). Ricordiamoci anche che l’essere umano fu formato per ultimo affinché si ricordi di non sopravvalutarsi e se una persona si comporta con orgoglio, le si dice: “Perfino la zanzara è stata creata prima di te!”.

Le norme tradizionali ebraiche, compreso le regole alimentari e quelle verso gli animali, sono regole antiche e consolidate che disciplinano in modo armonioso il rapporto dell’uomo con l’ambiente, con gli esseri animati e inanimati: solo alcuni animali possono essere mangiati e in certe particolari e severe condizioni. Tali norme non dovrebbero essere tradite, assimilate o essere poste al servizio della modernizzazione, dell’industrializzazione e dello sviluppo. Rispetto degli animali, kasherut e allevamenti intensivi moderni sono realtà inconciliabili.

Noi riteniamo che le regole ebraiche non possano essere applicate a compartimenti stagni, quelle alimentari in modo scollegato dalle altre norme sugli animali che ci insegna la Torà, perché questa interpretazione non risponde al problema fondamentale e struggente della sofferenza degli animali. Noi riteniamo, in sintesi, che gli animali che soffrono non sono kasher e che sia necessario aprire un dibattito approfondito su questo argomento.

E se è vero che il livello di sofferenza durante la macellazione non si può controllare né stimare, chiunque è in grado, se vuole, di osservare e conoscere la sofferenza di un animale in un allevamento intensivo. La sofferenza riguarda l’intera esistenza dell’animale, non è un elemento trascurabile, accidentale o marginale, non è un’immaginazione o un sospetto, ma un’orribile realtà quotidiana.

Per Pesach assistiamo attoniti alla seguente incresciosa situazione che chiede con urgenza una spiegazione halachica complessiva e una soluzione operativa: per un sospetto si accetta di vietare l’uso della farina per le ciambellette e di distruggere una tradizione ancora viva e vitale; non per un sospetto, ma con consapevolezza e cognizione, si acconsente a ripetere un’orribile realtà, e a mangiare il foie gras, che troviamo nei ristoranti kasher di tutta Europa e in molte famiglie.

Ogni anno si ripete una procedura agghiacciante: il foie gras è il prodotto di una crudeltà estrema, perché gli animali sono forzati nell’alimentazione fino a presentare un fegato malato a morte (steatosi). Come si può ipotizzare che sia kasher il prodotto un animale deliberatamente torturato e reso gravemente e irrecuperabilmente invalido?


Il foie gras non dovrebbe essere considerato kasher, anzi è folle ritenerlo tale.



La pratica dell’ingozzamento forzato delle oche dovrebbe essere considerata un reato ai sensi degli artt. 544bis e ter del codice penale:

“Art. 544bis Uccisione di animali.

Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da 3 mesi a 18 mesi.”

“Art. 544ter Maltrattamento di animali

Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da 3 mesi a 1 anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro.

La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti cui al primo comma deriva la morte dell’animale.”

Su queste basi non solo la produzione (vietata in Italia?) ma anche l'importazione e il consumo di foie gras dovrebbero essere vietate per sempre e non solo nei ristoranti kasher.


Data: 2011-04-10 Autore: Gherush92 Tratto da http://www.gherush92.com





Gherush92 Comitato per i Diritti Umani è un’organizzazione non governativa no profit.

L’attività di Gherush92 si è concentrata nell’elaborazione e realizzazione di ricerche, studi e progetti, relativi ai diritti umani e ai temi connessi, quali razzismo, risoluzione dei conflitti, diritti fondamentali dell'uomo, sviluppo sostenibile.

Gherush92 ha svolto programmi di educazione allo sviluppo ed è accreditato a partecipare ai lavori di diversi programmi e convenzioni internazionali, come come World Conference Against Racism (WCAR), World Summit on Information Society (WSIS), Permanent Forum on Indigenous Issues (PFII), Working Group on Indigenous Populations (WGIP), Organization for Security and Co-operation in Europe (OSCE), Human Dimension Implementation Meeting (HDIM).

In particolare ha già partecipato alla World Conference against Racism del 2001 ed è accreditata alla Conferenza di Revisione di Durban e al processo di preparazione del 2009.
Gherush92 ha ottenuto lo status di consulente speciale del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC).

lunedì 11 aprile 2011

Ecologisti e civici: essere o non essere… animalisti?


Seminario di Bologna, 9-10 aprile

Marinella Robba *

Con questo mio intervento vorrei stimolare alcune riflessioni sulla necessità di attenzione alle problematiche animaliste da parte degli ecologisti, in quanto tali.

Mi riferisco, in particolare, al consumo di tutti i tipi carne, pesce, latte, uova e formaggi che gli ecologisti dovrebbero evitare per l’impatto ambientale che comporta la loro produzione sia a livello locale sia a livello mondiale. Gli animalisti, in quanto tali, sono contrari a qualsiasi forma di inquinamento ambientale perché nuoce alla fauna. Allo stesso modo gli ecologisti dovrebbero opporsi al consumo di carne, pesce e alimenti di origine animale e, ovviamente, non consumarli, perché la loro produzione ha gravi ripercussioni a livello ambientale, come spiegherò dopo in modo più approfondito. Quindi sono da contrastare e non da incoraggiare alcune tradizioni gastronomiche, promosse ad esempio da Slow Food, che non fanno altro che incrementare il giro d’affari degli allevatori.

A mio parere si dovrebbe attribuire all’aggettivo ecologista un’accezione ampia. Sarebbe opportuno, infatti, considerare il tema dell’ecologia dei valori. Gli ecologisti dovrebbero impegnarsi a contrastare la mentalità, ormai generalizzata nella nostra società, del “fare soldi a tutti i costi”. Dovrebbero opporsi, ad esempio, agli interessi economici che ruotano attorno alla vivisezione (case farmaceutiche, allevamenti e ricerca). Quindi oltre al problema del nucleare e dei trasporti, che sono indubbiamente degni della massima attenzione, ci si dovrebbe attivare per fare un po’ di “pulizia etica” nella nostra società, opponendosi fermamente alla vivisezione, al commercio di pellicce, ai circhi, alle tradizioni violente, alla caccia e alla pesca. Tutte attività legate ad interessi economici perseguiti provocando grande sofferenza per gli animali.

A questo punto del mio intervento vorrei approfondire la tematica dell’impatto ambientale degli allevamenti intensivi fornendo qualche dato significativo. Da anni gli animalisti denunciano le gravi ripercussioni che la zootecnia comporta a livello ambientale e recentemente anche organizzazioni internazionali come la FAO e l’OMS sono giunte alle medesime conclusioni, affermando che un cambiamento delle nostre abitudini di vita sarà in futuro indispensabile, se vorremo salvare il nostro pianeta e i suoi abitanti. Sei milioni di esseri sensibili, esclusi i pesci, vengono uccisi nel mondo ogni ora per essere trasformati in carne; senza contare la sofferenza di mucche e galline ovaiole, recluse, sfruttate ed infine ammazzate in giovanissima età. Il consumo di carne, pesce e prodotti animali causa più sofferenza e morte di ogni altra attività umana, pur non essendo affatto necessario. Evitare il consumo di carne è una scelta non solo possibile, ma anche facile da realizzare al giorno d'oggi e pochi immaginano le conseguenze positive. Smettendo di mangiare gli animali e i loro prodotti non solo si evita di far soffrire e uccidere tanti esseri, ma si salva il pianeta, perché l'impatto ambientale della produzione di carne, pesce, latte e uova è rilevantissimo. Inoltre, si salva anche la nostra salute, perché con un’alimentazione a base vegetale si diminuisce di molto la probabilità di ammalarsi delle varie malattie degenerative che sono la maggior causa di invalidità e morte nei paesi industrializzati (malattie cardiovascolari, cancro, obesità, osteoporosi) e si può ottenere in molti casi una regressione delle stesse malattie. E’ già ampiamente noto che le patologie cardiovascolari, neoplastiche e l'obesità sono in diretta relazione con l’eccessivo consumo di grassi, in particolare di grassi saturi, che fanno depositare il colesterolo nei vasi arteriosi, causando danni irreparabili all'organismo umano.

A parità di tipologia di produzione, la dieta onnivora non equilibrata, consumando una sproporzionata quantità di alimenti di origine animale, ha ovviamente un maggiore impatto ambientale. Maggiore è il consumo di animali e maggiore è l'impatto ambientale. E’ noto che esiste il cosiddetto “indice di conversione”, che misura la quantità di cibo necessaria a far crescere di 1 kg l’animale. Ad un vitello servono 13 kg di mangime per aumentare di 1 kg,: un bovino, ad esempio, consumando cioè 790 kg di proteine vegetali, produce meno di 50 kg di proteine. Per questo motivo gli animali vengono definiti “fabbriche di proteine alla rovescia”, intendendo che il bilancio alimentare fra le proteine vegetali usate per la loro alimentazione e le proteine animali da essi prodotte è negativo. Nel trasformare vegetali in proteine animali, un'ingente quantità delle proteine e dell'energia contenute nei vegetali viene sprecata: il cibo serve infatti a sostenere il metabolismo degli animali allevati. Ricerche scientifiche hanno dimostrato che l’alimentazione vegan basata su produzione biologica è la meno impattante. La dieta latto-ovo-vegetariana, comunemente detta vegetariana, che prevede il consumo di uova, latte e formaggi, ha un impatto 4 volte più alto. Quella onnivora 8 volte più elevato rispetto all’alimentazione vegana. mentre ne servono 11 a un vitellone (un bue giovane) e 24 ad un agnello. I polli richiedono 3 kg di cibo per ogni kg di peso corporeo. Se si considera poi che l’animale non è tutta carne, ma vi sono anche tessuti non commestibili come ossa, cartilagini e frattaglie, queste quantità vanno quasi raddoppiate. Il rendimento delle proteine animali è analogamente basso

Relativamente all’impatto ambientale il discorso è molto complesso e sono stati effettuati studi scientifici sulla base di metodologie diverse. Comunque, volendo sintetizzare il discorso, dal punto di vista ecologico il consumo di tutti i tipi di carne, pesce e alimenti di origine animale comporta conseguenze locali per quanto concerne l’inquinamento, mentre a livello planetario causa eccessivo sfruttamento delle risorse.

INQUINAMENTO

Allevamento intensivo

Così come nel settore agricolo, lo sviluppo tecnologico dello scorso secolo ha portato grandi rivoluzioni nel settore zootecnico: anche per questo tipo di attività, il principio basilare è diventato l’aumento esponenziale delle produzioni per ottenere una più alta produttività al fine di assecondare la richiesta del mercato dei prodotti di origine animale, arrivato oggi ad essere quasi quattro volte superiore al fabbisogno giudicato adeguato dalla letteratura sull’alimentazione umana. L’industrializzazione della zootecnia è stata l’unica soluzione individuata per rispondere a tali necessità e ha imposto profonde trasformazioni al classico metodo di allevamento presente fino agli anni ‘50- ’60, periodo in cui è iniziata l’evoluzione del consumo di carne in Italia.

Sulla spinta di questa crescente richiesta di carne, latte e uova, la popolazione mondiale di mucche, maiali, pecore, capre, polli e altri animali d’allevamento è molto cresciuta; il numero dei quadrupedi di interesse zootecnico presenti sulla Terra è aumentato del 60% dal 1961, mentre quello dei volatili d’allevamento si è pressoché quadruplicato.

Le tecnologie che hanno permesso la trasformazione della zootecnia in zootecnia intensiva sono:

– l’evoluzione delle strutture delle stalle, che sono diventate strutture industriali e automatizzate;

– l’applicazione della chimica e della tecnologia all’allevamento attraverso l’introduzione di mangimi complessi e integrati che sono altamente inquinanti;

– la modifica genetica degli animali allevati;

– l’utilizzo di farmaci, vaccini e antiparassitari.

L’industrializzazione ha favorito così la concentrazione di animali in grandi strutture, riducendo drasticamente il bisogno di terreno; al giorno d’oggi, infatti, negli allevamenti industrializzati o senza terra, è concentrata la maggior parte degli animali; non solo bovini, ma anche polli, suini, tacchini e conigli. Circa il 60% della zootecnia in Italia è situata nella pianura padana, che ospita quasi 6 milioni di bovini e 6 milioni e 300 mila suini. Le regioni con il maggior numero di allevamenti intensivi sono la Lombardia, seguita dall’Emilia Romagna e il Piemonte. Gli allevamenti intensivi rappresentano il sistema di produzione in più rapida crescita, che fornisce il 43% del quantitativo globale di carne - era circa un terzo solo nel 1990 - che diventa più della metà per quanto riguarda la carne suina e il pollame.

La metodologia dell’allevamento intensivo, se pur con tecniche diverse, oggi si pratica anche per l’allevamento degli animali acquatici, quali ad esempio molluschi, pesci e crostacei.

Anche in questo caso, questo tipo di zootecnia fa largo uso di metodologie intensive, attraverso l’uso di tecnologie sempre più avanzate. Utilizza metodi di riproduzione artificiali avvalendosi dell’impiego di estratti ipofisari per controllare il processo riproduttivo e anticipare artificialmente la maturazione degli ovuli nelle femmine e del liquido seminale per i maschi.

Negli allevamenti i pesci vengono allevati con metodi artificiali in condizioni intensive in ogni fase: per esempio, nell’allevamento della trota la densità di trote di circa un mese per metro quadrato è di 30.000 elementi. Anche per questo tipo di allevamento si fa largo uso di principi farmacologici quali antibiotici, formalina e antiparassitari. Nell’alimentazione dei pesci si fa uso di diete artificiali, soprattutto sottoprodotti del macello, residui dell’industria dello scatolame, sottoprodotti della lavorazione del pesce e mangimi secchi contenenti farine animali, integratori, antiossidanti e antibiotici. Durante la fase dell’allevamento l’impatto ambientale è rilevante ed è normalmente correlato all'agricoltura chimico-intensiva e si verifica in maniera significativa anche nell’alimentazione carnea da produzione biologica. L'impatto delle deiezioni animali sull'ecosistema è paragonabile, se non maggiore, all’impatto di eventuali pesticidi e fertilizzanti chimici. Soltanto in Italia gli animali da allevamento producono annualmente circa 19 milioni di tonnellate di deiezionia scarso contenuto organico, che non possono essere usate come fertilizzante. Attualmente, lo smaltimento di questi liquami avviene per spargimento sul terreno, il che provoca un grave problema di inquinamento da sostanze azotate, che causa inquinamento nelle falde acquifere e nei corsi d’acqua di superficie. Calcolando il carico equivalente, ovvero trasformando il numero di animali in quello equivalente di popolazione umana che produrrebbe lo stesso livello di inquinamento da deiezioni, in totale, in Italia, gli animali equivalgono ad una popolazione aggiuntiva di 137 milioni di cittadini, cioè più del doppio del totale della popolazione. Anche la qualità e la consistenza degli escrementi animali, connessi con il tipo di allevamento

senza lettiera di paglia, con il foraggiamento degli animali e con il grande impiego di medicinali negli allevamenti intensivi, hanno trasformato quello che in passato era un concime in un rifiuto di cui si impone un attento smaltimento. Studi scientifici hanno dimostrato che il manzo è di fatto l'alimento a maggior impatto ambientale. Gli altri alimenti che hanno i maggiori impatti sono risultati formaggi, pesce e latte. Gli animali vengono considerati “macchine da produzioni alimentari”, possiamo aggiungere, macchine poco convenienti visto che, per produrre poco, inquinano tanto e, soprattutto, consumano tantissimo.

Per combattere l'insorgere di malattie dovute alle tremende condizioni di vita degli animali gli allevatori fanno largo uso di antibiotici in via preventiva, quindi sugli animali sani. Questa pratica provoca l'insorgenza di batteri resistenti alle cure antibiotiche, che si diffondono in natura a partire dai corsi d'acqua dove finiscono le deiezioni degli animali e nell'organismo di chi consuma quella carne, sia perché ingerisce batteri, sia perché introduce continuamente nell’organismo antibiotici a basso dosaggio che non uccidono, anzi rendono resistenti i batteri già presenti nel proprio corpo. Il risultato è una maggiore virulenza di malattie come la tubercolosi, che si credeva ormai definitivamente sconfitta dopo la scoperta della penicillina. Nell'edizione del 21 aprile 2001, il "New Scientist" rivela che alcuni ricercatori hanno scoperto che dentro l'acqua del suolo sottostante fattorie d'allevamento, si trovano batteri resistenti alla tetraciclina (un antibiotico usato comunemente sia in medicina veterinaria che umana), proveniente dai batteri del sistema digestivo dei maiali allevati nelle fattorie. Questo fenomeno di resistenza è diventato assai inquietante per la sanità pubblica mondiale, poiché malattie tipo la tubercolosi, un tempo facilmente curabili tramite antibiotico, diventano sempre più difficili da arginare. L'Organizzazione Mondiale della sanità ha recentemente lanciato un allarme.

Produzione

Il consumo di carne provoca un elevato impatto ambientale anche per un’altra ragione. Infatti, a differenza del cibo di origine vegetale che raggiunge quasi direttamente il consumatore, il cibo di origine animale, oltre a consumare tantissimo cibo vegetale, deve essere sottoposto a vari trattamenti prima di essere consumabile. I processi di lavorazione, produzione e trasporto degli alimenti di origine animale hanno un impatto ambientale elevatissimo. Deve inoltre essere considerata l'energia necessaria per la coltivazione del cibo per gli animali e per il funzionamento degli allevamenti stessi.

Il carico inquinante è di tipo locale mentre il consumo delle risorse è diffuso a livello planetario.

CONSUMO DI RISORSE

Denutrizione e deforestazione nel Terzo Mondo

Circa 24.000 persone muoiono ogni giorno a causa della fame, della denutrizione e delle malattie ad essa collegate. Di queste circa 18.000 sono bambini. Ciò significa che ogni settimana muoiono circa 170.000 persone, ogni mese circa 700.000, ogni anno quasi 9 milioni. In totale, quasi un miliardo di individui non ha cibo a sufficienza, mentre un altro miliardo consuma prodotti animali in maniera smodata. Nei paesi poveri del Sud del mondo sono state incentivate le produzioni di cereali, oleaginose e proteaginose destinate ad essere esportate e successivamente utilizzate come mangime per l'allevamento intensivo del bestiame, bestiame che si trasforma in tonnellate di carne e va a costituire la dieta squilibrata del Nord del mondo. Il 77% dei cereali in Europa non è destinato al consumo umano, ma ai mangimi per animali. Negli USA, l'87%. Nei paesi più poveri, solo il 18%. Su scala mondiale, il 90% della soia e la metà dei cereali prodotti globalmente sono destinati a nutrire gli animali anziché gli esseri umani. (fonte: Database FAO, Food Balance Sheet, 2001).

Secondo quanto riportato dalla Commissione Europea, il nostro continente è in grado di produrre abbastanza vegetali da nutrire tutti i suoi abitanti, ma non i suoi animali. Solo il 20% delle proteine destinate agli animali d'allevamento proviene dall'interno, il resto viene importato dai paesi del sud del mondo, impoverendoli ulteriormente, e sfruttando le loro risorse ambientali. Sei miliardi di umani, tanto onnivori quanto il cittadino medio occidentale, richiederebbero più del doppio delle terre emerse esistenti, perché sarebbe necessaria una quantità di cereali pari a più del doppio dell'attuale produzione. A questa mancanza di spazio si correla il discorso della deforestazione a fini zootecnici e il cambiamento di gestione delle foreste pluviali.

Le grandi aziende zootecniche non permettono la rigenerazione del bosco al termine del ciclo di sfruttamento agricolo del terreno. Il disboscamento operato per far posto agli allevamenti di bovini destinati a fornire proteine animali all'Occidente ha distrutto in pochi anni

milioni di ettari di foresta pluviale. Ogni anno scompaiono 17 milioni di ettari di foreste tropicali. L’allevamento intensivo non ne è la sola causa, ma sicuramente gioca un ruolo primario: nella foresta Amazzonica l'88% dei terreni disboscati è stato adibito a pascolo e circa il 70 % delle zone disboscate del Costa Rica e del Panama sono state trasformate in pascoli. A partire dal 1960, in Brasile, Bolivia, Colombia, America Centrale sono stati bruciati o rasi al suolo decine di milioni di ettari di foresta, oltre un quarto dell'intera estensione delle foreste centroamericane, per far posto a pascoli per bovini. Paradossalmente, questa terra non è affatto adatta al pascolo: nell'ecosistema tropicale lo strato superficiale del suolo contiene poco nutrimento. Dopo pochi anni di pascolo il suolo diventa sterile, e gli allevatori passano ad abbattere un'altra regione di foresta. Gli alberi abbattuti non vengono commercializzati, risulta più conveniente bruciarli sul posto.

Da dati del CIFOR, Centro per la Ricerca Forestale Internazionale, dal 1997 al 2003 l’esportazione di bovini dal Brasile è aumentata del 600% e l'80% di questa crescita si è avuto negli allevamenti siti nella foresta amazzonica Brasiliana.

Da ricerche del'Istituto di Ricerca Spaziale (INPE) del governo Brasiliano è emerso che in soli 10 anni, la regione ha perso un'area due volte il Portogallo.Gran parte di essa è diventata terra da pascolo. Nelle zone semiaride, come l'Africa, lo sfruttamento dei suoli per l’allevamento (i cui prodotti vengono esportati nei paesi ricchi) porta alla desertificazione, cioè alla riduzione a zero della produttività di queste terre. Le Nazioni Unite stimano che il 70% dei terreni ora adibiti a pascolo siano in via di desertificazione. Anche alcune parti delle Grandi Pianure del “West” americano si stanno trasformando in deserto. Ampi fiumi sono diventati ruscelli o si sono prosciugati del tutto lasciando spazio a distese di fango. Dove prima vi erano vegetazione ed animali selvatici di ogni specie, oggi non cresce più nulla e non vi è più vita animale. L’allevamento estensivo di bovini è stato, e continua a essere, la causa di tutto questo.

Il consumo di acqua

Il consumo di acqua da solo è in assoluto l’impatto maggiore. Il 70% dell’acqua utilizzata sul pianeta è consumato dalla zootecnia e dall’agricoltura (i cui prodotti servono per la maggior parte a nutrire gli animali d’allevamento), l’8% è usata nel consumo domestico, il 22% nell'industria (Fonte: Stockholm International Water Institute, SIWI, 2004). L’acqua viene impiegata per l’irrigazione di cereali, soia, girasole, cotone, lino, etc. - spesso importati - che costituiscono gli integratori energetici e proteici per il bestiame; una mucca da latte beve 200 litri di acqua al giorno, 50 litri un bovino o un cavallo, 20 litri un maiale e circa 10 una pecora; senza considerare l’acqua utilizzata per le operazioni di pulizia di stalle, sale di mungitura ed altro. A titolo di esempio, il settimanale Newsweek ha calcolato che per produrre soli cinque chili di carne bovina serve tanta acqua quanta ne consuma una famiglia media in un anno. Nell'agosto 2004 si è tenuta la consueta “Settimana Mondiale dell’Acqua”, a Stoccolma, durante la quale gli esperti hanno spiegato che le riserve d’acqua non saranno sufficienti a far vivere i nostri discendenti con la stessa dieta oggi imperante in Occidente. Non possiamo aumentare la quantità d'acqua presente nel mondo: possiamo solo cambiare modo di usarla. Il che significa da una parte migliorare le tecniche di irrigazione, dall'altra tagliare gli sprechi. Lo spreco maggiore deriva proprio dalla produzione di alimenti animali.

Infine, si sottolinea come anche la produzione biologica di carne e prodotti di origine animale provochi, in termini di consumo di risorse, le medesime ripercussioni negative della produzione con metodi tradizionali, oltre a causare anch’essa sofferenza per gli animali.

Fame nel Sud del mondo, deforestazione, inquinamento, malattie nel Nord del mondo, la vita e la libertà degli animali zootecnici, sono conseguenze delle nostre scelte quotidiane. Eliminando il consumo di tutti i tipi di carne (bovino, agnello, pollo ecc.), pesce e prodotti di origine animale contribuiremo in modo determinante a salvare il nostro pianeta. I cittadini, in futuro, avranno un ruolo determinante per la salvaguardia dell’ambiente, perché con le loro scelte quotidiane condizioneranno l’offerta del mercato e, conseguentemente, i consumi nella nostra società.

Gli animalisti chiedono a tutti gli ecologisti di prendere coscienza dell’elevato impatto ambientale causato dal consumo di carne, pesce, latte e uova e di dare un contributo nella divulgazione di queste riflessioni, in modo che tutti i cittadini abbiano gli elementi per fare le proprie scelte alimentari secondo coscienza.

Segue proiezione del video VEGAN - per le persone, per il pianeta, per gli animali

www.nonviolenceunited.org/veganvideo.html

Per approfondimenti sui temi trattati nell’intervento

www.lacincia.it/docs/pelo_contropelo_20100701.pdf Pelo & Contropelo anno 1 n. 1

www.lacincia.it/docs/pelo_contropelo_20101002.pdf Pelo & Contropelo anno 1 n. 2

www.lacincia.it/docs/pelo_contropelo_20110103.pdf Pelo & Contropelo anno 2 n. 1

* direttore editoriale periodico Pelo&Contropelo – GCT

giovedì 7 aprile 2011

Bologna: 9-10 aprile - si discute anche di animalismo


Idee e contenuti per un progetto di Rete Italiana Ecologista e Civica

Bologna: Piazza Verdi 2 c/o La Scuderia *

Sabato 9 aprile ore 15-20,30 – Domenica 10 aprile 2011 ore 10,30-17,30

I contenuti del progetto da costruire sono:

* come organizzarsi per la conversione ecologica dell’economia e la tutela del territorio, dei beni comuni e del benessere di tutte le specie viventi che lo abitano; per nuovi strumenti della democrazia diretta, per la giustizia sociale, per un movimento di liberazione dalla corruzione nel nostro paese.

Nell’immediato per il successo delle campagne referendarie del 12 -13 giugno.

* quali regole minime sono necessarie per la gestione interna del progetto, per definire i criteri di partecipazione ad eventuali elezioni di qualsiasi livello per contribuire a cambiare il paese, per contenere e contrastare privilegi di casta, ridurre il peso del sistema dei partiti tradizionali, l’entità degli emolumenti e la riduzione del numero di mandati.

* come promuovere ed affermare una nuova cultura trasversale e oltre ogni schieramento politico, culturale e religioso tradizionale, rivendicando il diritto-dovere ad una relazione armonica tra uomo e natura, tra esseri umani, tra uomo e donna, e all’interno dell’uomo tra vita e coscienza.

Le basi comuni di valutazione sono:

1) c’è una crisi economica, finanziaria, energetica, ecologica, sociale, politica.

2) c’è un’emergenza legalità, mafia, corruzione, crisi dei partiti e prevalere di logiche di casta.

3) la ricerca di profitti sempre più grandi per pochi si traduce per molti in sofferenza, inquinamento, corruzione, guerre, crescenti disuguaglianze.

4) sosteniamo che la coscienza sociale e ambientale deve guidare le scelte politiche, che serve una economia solidale che crei ricchezza condivisa e lavoro e sostituisca l’economia dello sviluppo illimitato, del consumismo e dello spreco.

5) che è necessario un nuovo spazio politico autonomo, distinto e distante dai partiti attuali, inadeguati a farsi protagonisti del cambiamento.

6) che i protagonisti devono unire movimenti, associazioni, gruppi civici e superare la frammentazione esistente

7) che vogliamo una organizzazione non piramidale, a rete, capace di garantire la partecipazione e la sovranità dei cittadini, con l’autonomia decisionale dei livelli comunali, regionali e nazionale.

8) che vogliamo favorire la progressiva aggregazione di un nuovo movimento politico capace di affiancarsi alla moltitudine inarrestabile che si sta affermando in Europa e nel mondo.

Programma del seminario

Sabato 9 aprile ore 15 – 19

Idee per la Transizione; Contenuti – Regole – Organizzazione

come costruire la casa comune ecologista e civica, provare a cambiare l’Italia e vivere felici

* Maurizio Di Gregorio: di Fiori Gialli, Un percorso possibile per superare la frammentazione, superare l’anomalia italiana, entrare nell’ecologismo europeo

* Pino Strano: della Rete dei CittadiniDemocratici Diretti, la democrazia diretta come regola e come risorsa

* Anna Andorno: del Movimento Valledora, Azioni e progetti per la difesa dei beni comuni del territorio

* Nico Valerio: degli Ecologisti del Lazio, soggetto politico: lo specifico ecologista e civico

ore 19 – 20.30 Informativa e discussione sui Referendum:

Massimo Marino: del Movimento Antinucleare

Domenica 10 aprile ore 10,30 – 17,30 Sessioni di lavoro (90 min)

Sessione 1: Conversione ecologica del modello economico: transizione, decrescita, sobrietà

* Marco Pagani blog ecoalfabeta

Sessione 2: Guerra e Pace : dal Kossovo alla Libia: serve un azione europea degli ecologisti

* Fiorello Cortiana ecologista

Sessione 3: ecologisti e civici: essere o non essere… animalisti?

* Marinella Robba direttore editoriale periodico Pelo&Contropelo

Conclusioni: proposte per proseguire il cammino di costituzione di una rete italiana ecologista e civica

per aderire al seminario rispondi a questa proposta di INVITO segnalando la tua ADESIONE personale e l’eventuale SOSTEGNO del tuo gruppo o associazione scrivendo a questo indirizzo :

ecoretecivica@gmail.com

coordinamento dei lavori:

Piero Aimasso, Anna Andorno, Giovanni Chiambretto, Maurizio Di Gregorio

L’incontro si svolgerà in forma di seminario ad inviti
I lavori si svolgono attraverso la proiezione di slide e video

mercoledì 6 aprile 2011

Laos : una strada minaccia 'ultimo habitat della tigre

Un progetto di nuova strada in Laos aprirà l'accesso a un'area protetta, cruciale per la riproduzione delle tigri, il Nam Et Phou Louey National Park. Secondo il Vientiane Times, sono appena due dozzine le tigri (Panthera tigris) rimaste nel paese, e gli ambientalisti ritengono che la strada costituisca una minaccia a un'area critica per una popolazione ormai quasi estinta. Non si tratta di un caso isolato. Da decenni, le foreste comunitarie del Laos vengono cedute in concessione a imprese straniere (solitamente vietnamite o cinesi). Neppure i fondi REDD per proteggere il carbonio sequestrato dalle foreste sembrano allettare le autorità, dato che la deforestazione e il sistema di corruzione che la circonda fruttano introiti aggiuntivi per molti funzionari.


Secondo i funzionari locali la strada sarebbe necessaria per migliorare l'accesso ai villaggi remoti e alleviare la povertà nella regione, ma le associazioni attive in sostegno dei villaggi sono scettiche circa il reale interesse delle autorità ad alleviare la povertà dei villaggi più remoti, mentre le strade nelle aree di foresta sono impraticabili alla popolazione, una volta "occupate" dal trasporto del legname, dato che è estremamente pericoloso utilizzarle, soprattutto la notte, quando i camion che trasportano tronchi illegali viaggiano a velocità sostenuta e a fari spenti (privi di targhe e scritte di riconoscimento).Ma il Governatore provinciale, Khamhoung Hueangvongsy, insiste: la strada rappresenta una opportunità per la protezione del parco, permettendo alle autorità di accerdevi per combattere il disboscamento illegale e bracconaggio. I funzionari locali sostengono che la nuova strada dimezzerà la distanza tra i villaggi situati presso il parco e il capoluogo provinciale, proprio passando attraverso il parco. Tuttavia, gli studi di tutto il mondo hanno dimostrato che le strade in aree incontaminate conducono alla deforestazione e favoriscono il bracconaggio proprio perché ne rendono più facile l'accesso.Un caso simile è quello registrato da un viaggiatore, sempre in Laos, a sud-est di Savannaket, dove lungo la strada che porta al villaggio di Caloum: mentre il cartello indica una foresta protetta, quello che resta è una savana brulla, mentre la strada è ancora utilizzata dai camion per portare gli ultimi tronchi della foresta protetta alla grande segheria del villaggio di Hongloiy.

da Salva le foreste - 29 marzo 2011

Test su cosmetici: rispettare le scadenze


2004: i cosmetici finiti testati su animali non possono più essere venduti in Europa.

2009: è proibito sperimentare su animali anche gli ingredienti dei cosmetici ad eccezione di 5 test.

Oggi è ancora possibile effettuare esperimenti particolarmente lunghi e invasivi, nonostante negli ultimi 10 anni milioni di cittadini si siano mobilitati per dire NO a questa violenza.

L’Europa ha stabilito che nel 2013 anche questi ultimi test saranno vietati.

Ma la data di questo bando rischia di slittare.
Chiedi alle Istituzioni di rispettare gli impegni presi.

Il 2, 3, 9 e 10 aprile vieni ai tavoli LAV

firma la petizione e sostienici portando a casa l’uovo di cioccolata equo e solidale. Puoi ritirare la copia gratuita della nuova Guida LAV ai cosmetici non testati.

Puoi partecipare al concorso "Amali anche quando ti ami". Clicca qui per saperne di più.

Vogliamo solo belle sorprese per il futuro.
Per sapere dove trovarci clicca qui