giovedì 5 agosto 2010

Noi e gli altri. La rivoluzione gentile che ama i più deboli


di Gianpaolo Silvestri


San Francesco, assunto come faro per il riscatto delle moltitudini da Toni Negri, è il protettore degli animali. La loro difesa implica anche un altro modo di vedere il mondo, un’altra economia e un futuro sostenibile.

«Le bestie non sono così bestie come si pensa », asseriva Molière nell’Anfitrione. Gli umani talvolta sì, viene da chiosare di fronte alla tragica situazione di sofferenza cui condanniamo gli altri animali. Davvero è il caso di sottoscrivere l’Orwell de La fattoria degli animali che sentenzia: «Quattro zampe buono, due zampe cattivo», intendendo ovviamente per bipede la specie umana. Pur essendo uno dei dati fondanti del pensiero ecopacifista è indubbio che l’animalismo rimanga ancora, nonostante il generoso sforzo di moltissime donne e uomini, il «luogo ove una folla tace e gli amici non riconoscono» (parole rubate a Franco Fortini).

In realtà esso presuppone una vera rivoluzione, uno scardinamento degli assunti logico/ scientifici cui è nata la modernità, un’elusione della dicotomia cartesiana con annesso concetto animale-macchina; implica, come il femminismo e l’ecologia, un rifiuto secco dell’economicismo imperante e una rivisitazione delle coordinate della Storia che sbricioli poteri, certezze, consuetudini, senso comune, appartenenze. L’animalismo ci suggerisce inclusività, interdipendenza, armoniosa convivenza: la sua assunzione è tra le chiavi di volta contro le esclusioni e le gerarchie consolidate dal vincente e devastante antropocentrismo occidentale. In uno splendido libro del lontano 1979, Il coltello e lo stilo - animali, schiavi, barbari, donne, all’origine della razionalità scientifica, Mario Vegetti analizza come partendo dalla natura della democrazia ateniese (archetipo della democrazia in genere) e giungendo sino agli albori della modernità con l’affermarsi dell’imperativo razionale scientifico, sia evidente il dato d’esclusione del patto di cittadinanza.

Animali, schiavi, barbari (stranieri), donne: incredibile come i soggetti non interni al “politico”, fuori del Palazzo, dalle mura e dall’agorà, siano nei tempi sostanzialmente gli stessi. È ancora l’urlo di Antigone che vale, le lacrime di colei che, sul cadavere del fratello, non accetta la razionale/ neutra/oggettiva logica del potere costituito, e grida “No” in nome di un’umanità che lo trascende e lo delegittima. Qualcuno potrebbe affermare che oggi non ci sono più schiavi. A parte l’opinabilità di tale asserzione, specie in relazione a nuove post-moderne forme in cui nel terzo millennio la schiavitù si presenta, basta osservare la cronaca quotidiana in relazione agli immigrati (e non solo) anche in Italia. Mi è amaro obbligo ricordare che nella “Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le relative intolleranze” dell’Onu, tenutasi a Dur-inban, in Sudafrica, nel settembre 2001, molte nazioni si sono rifiutate di dichiarare lo schiavismo “crimine contro l’umanità”.
La rivoluzione gentile che l’animalismo ci propone ha la stessa valenza millenaria della rivolta di Spartacus, lo schiavo romano che non riteneva eterne e naturali le motivazioni e le norme che lo rendevano “oggetto”, proprietà d’altri, non libero. Non a caso Lega spartachista fu anche il nome del movimento di Rosa Luxemburg, la rivoluzionaria uccisa il 15 gennaio 1919 a Berlino. Altre oppressioni, altre rivolte, altre dignità da affermare. Come significativo e non casuale è che - non sembri una forzatura - la prima e più diffusa guida internazionale omosessuale si chiami, appunto, Spartacus. Gli animali, tra gli esclusi, sono indubbiamente gli ultimi tra gli ultimi e davvero il vecchio slogan («dare voce a chi non ha voce ») aveva loro tra i principali referenti. Credo che il pensiero animalista sia tra quelle intuizioni feconde in grado di con-segnarci un nuovo alfabeto, di scrivere un’altra narrazione, di uscire dalla preistoria.
E ancora una volta è l’empatia - questa nostra capacità di sentire, condividere, soffrire con e per gli altri - che ci indica il giusto. Un giusto che afferma con forza, come dato iniziale e indisponibile, non trattabile, il rifiuto di procurare sofferenza a ogni essere vivente. È un imperativo categorico dell’animalismo (ma non solo) che parla e interpella tutti noi. È foriero di un’altra umanità, di altre relazioni, è (come ebbe a dirmi Johan Galtung riferendosi ai diritti) «una scommessa di pace». Non credo sia un caso - a tale proposito -, che la Carta dei diritti d’Europa non contempli quelli degli animali e il diritto alla pace. Siamo però ottimisti poiché consapevoli delle ambiguità, delle contaminazioni, del percorso carsico cui i movimenti e il processo di liberazione oggi sono caratterizzati. L’animalismo è una rivoluzione vera e come tutto ciò che cambia radicalmente lo stato di cose presenti, ha valenza storica (auguriamoci, però, non tempi storici).
Le sue coordinate implicano non solo una “attenzione” agli altri animali ma, credo, un habitat diverso, un’altra economia, una diversa qualità della vita; implicano il gesto “gratuito”, quello che dà senso e identità alle relazioni e all’esistenza; implicano scommettere su questo pianeta e sulla sua ricca biodiversità con curiosità verso l’altro da sé e confronti/incontri non distruttivi. Implicano, semplicemente, amare la vita. Per questo, per quello che in nuce già ci dice e per il no alla sofferenza che afferma, l’animalismo è una delle opzioni che ribalteranno il pianeta. È un architrave di scienza, pensieri, sentimenti che esplicitano il futuro sostenibile, la terra dell’alleanza tra i viventi, tra le specie (mondo vegetale compreso), l’assioma dell’armonia. Anche per chi come me incontra ancora oggi difficoltà, ha resistenze non tutto comprende, il grazie all’animalismo e alle migliaia di donne e uomini che lo animano, è piacevole obbligo.
Gli animalisti hanno con rigore elaborato scienza e conoscenza, praticato con amore il rifiuto della sofferenza e del dolore procurato, aiutato a portare con Noè e la sua progenie le innumerevoli specie della vita nell’arca della salvezza («siamo tutti sulla stessa barca» è l’assunto) e lavorato - consapevolmente o non - affinché, dopo il diluvio giunga la colomba recante il ramoscello d’ulivo della pace. Come sempre occhi rossoverdi sulla realtà: il male che procuriamo agli altri animali è ben visibile nella sua tragica e terribile “normalità”. Non ci è permesso, al di la di differenti impostazioni teoriche e sensibilità, disconoscerlo o far finta di niente, specie se è davvero sincero l’auspicio di un pianeta vivo in cui per tutti valga la pena vivere. D’altronde «Il cavallo, come ognuno sa, è la parte più importante del cavaliere», parola di J. Giraudoux.

( da: Terra )

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