Seminario di Bologna, 9-10 aprile
Marinella Robba *
Con questo mio intervento vorrei stimolare alcune riflessioni sulla necessità di attenzione alle problematiche animaliste da parte degli ecologisti, in quanto tali.
Mi riferisco, in particolare, al consumo di tutti i tipi carne, pesce, latte, uova e formaggi che gli ecologisti dovrebbero evitare per l’impatto ambientale che comporta la loro produzione sia a livello locale sia a livello mondiale. Gli animalisti, in quanto tali, sono contrari a qualsiasi forma di inquinamento ambientale perché nuoce alla fauna. Allo stesso modo gli ecologisti dovrebbero opporsi al consumo di carne, pesce e alimenti di origine animale e, ovviamente, non consumarli, perché la loro produzione ha gravi ripercussioni a livello ambientale, come spiegherò dopo in modo più approfondito. Quindi sono da contrastare e non da incoraggiare alcune tradizioni gastronomiche, promosse ad esempio da Slow Food, che non fanno altro che incrementare il giro d’affari degli allevatori.
A mio parere si dovrebbe attribuire all’aggettivo ecologista un’accezione ampia. Sarebbe opportuno, infatti, considerare il tema dell’ecologia dei valori. Gli ecologisti dovrebbero impegnarsi a contrastare la mentalità, ormai generalizzata nella nostra società, del “fare soldi a tutti i costi”. Dovrebbero opporsi, ad esempio, agli interessi economici che ruotano attorno alla vivisezione (case farmaceutiche, allevamenti e ricerca). Quindi oltre al problema del nucleare e dei trasporti, che sono indubbiamente degni della massima attenzione, ci si dovrebbe attivare per fare un po’ di “pulizia etica” nella nostra società, opponendosi fermamente alla vivisezione, al commercio di pellicce, ai circhi, alle tradizioni violente, alla caccia e alla pesca. Tutte attività legate ad interessi economici perseguiti provocando grande sofferenza per gli animali.
A questo punto del mio intervento vorrei approfondire la tematica dell’impatto ambientale degli allevamenti intensivi fornendo qualche dato significativo. Da anni gli animalisti denunciano le gravi ripercussioni che la zootecnia comporta a livello ambientale e recentemente anche organizzazioni internazionali come la FAO e l’OMS sono giunte alle medesime conclusioni, affermando che un cambiamento delle nostre abitudini di vita sarà in futuro indispensabile, se vorremo salvare il nostro pianeta e i suoi abitanti. Sei milioni di esseri sensibili, esclusi i pesci, vengono uccisi nel mondo ogni ora per essere trasformati in carne; senza contare la sofferenza di mucche e galline ovaiole, recluse, sfruttate ed infine ammazzate in giovanissima età. Il consumo di carne, pesce e prodotti animali causa più sofferenza e morte di ogni altra attività umana, pur non essendo affatto necessario. Evitare il consumo di carne è una scelta non solo possibile, ma anche facile da realizzare al giorno d'oggi e pochi immaginano le conseguenze positive. Smettendo di mangiare gli animali e i loro prodotti non solo si evita di far soffrire e uccidere tanti esseri, ma si salva il pianeta, perché l'impatto ambientale della produzione di carne, pesce, latte e uova è rilevantissimo. Inoltre, si salva anche la nostra salute, perché con un’alimentazione a base vegetale si diminuisce di molto la probabilità di ammalarsi delle varie malattie degenerative che sono la maggior causa di invalidità e morte nei paesi industrializzati (malattie cardiovascolari, cancro, obesità, osteoporosi) e si può ottenere in molti casi una regressione delle stesse malattie. E’ già ampiamente noto che le patologie cardiovascolari, neoplastiche e l'obesità sono in diretta relazione con l’eccessivo consumo di grassi, in particolare di grassi saturi, che fanno depositare il colesterolo nei vasi arteriosi, causando danni irreparabili all'organismo umano.
A parità di tipologia di produzione, la dieta onnivora non equilibrata, consumando una sproporzionata quantità di alimenti di origine animale, ha ovviamente un maggiore impatto ambientale. Maggiore è il consumo di animali e maggiore è l'impatto ambientale. E’ noto che esiste il cosiddetto “indice di conversione”, che misura la quantità di cibo necessaria a far crescere di 1 kg l’animale. Ad un vitello servono 13 kg di mangime per aumentare di 1 kg,: un bovino, ad esempio, consumando cioè 790 kg di proteine vegetali, produce meno di 50 kg di proteine. Per questo motivo gli animali vengono definiti “fabbriche di proteine alla rovescia”, intendendo che il bilancio alimentare fra le proteine vegetali usate per la loro alimentazione e le proteine animali da essi prodotte è negativo. Nel trasformare vegetali in proteine animali, un'ingente quantità delle proteine e dell'energia contenute nei vegetali viene sprecata: il cibo serve infatti a sostenere il metabolismo degli animali allevati. Ricerche scientifiche hanno dimostrato che l’alimentazione vegan basata su produzione biologica è la meno impattante. La dieta latto-ovo-vegetariana, comunemente detta vegetariana, che prevede il consumo di uova, latte e formaggi, ha un impatto 4 volte più alto. Quella onnivora 8 volte più elevato rispetto all’alimentazione vegana. mentre ne servono 11 a un vitellone (un bue giovane) e 24 ad un agnello. I polli richiedono 3 kg di cibo per ogni kg di peso corporeo. Se si considera poi che l’animale non è tutta carne, ma vi sono anche tessuti non commestibili come ossa, cartilagini e frattaglie, queste quantità vanno quasi raddoppiate. Il rendimento delle proteine animali è analogamente basso
Relativamente all’impatto ambientale il discorso è molto complesso e sono stati effettuati studi scientifici sulla base di metodologie diverse. Comunque, volendo sintetizzare il discorso, dal punto di vista ecologico il consumo di tutti i tipi di carne, pesce e alimenti di origine animale comporta conseguenze locali per quanto concerne l’inquinamento, mentre a livello planetario causa eccessivo sfruttamento delle risorse.
INQUINAMENTO
Allevamento intensivo
Così come nel settore agricolo, lo sviluppo tecnologico dello scorso secolo ha portato grandi rivoluzioni nel settore zootecnico: anche per questo tipo di attività, il principio basilare è diventato l’aumento esponenziale delle produzioni per ottenere una più alta produttività al fine di assecondare la richiesta del mercato dei prodotti di origine animale, arrivato oggi ad essere quasi quattro volte superiore al fabbisogno giudicato adeguato dalla letteratura sull’alimentazione umana. L’industrializzazione della zootecnia è stata l’unica soluzione individuata per rispondere a tali necessità e ha imposto profonde trasformazioni al classico metodo di allevamento presente fino agli anni ‘50- ’60, periodo in cui è iniziata l’evoluzione del consumo di carne in Italia.
Sulla spinta di questa crescente richiesta di carne, latte e uova, la popolazione mondiale di mucche, maiali, pecore, capre, polli e altri animali d’allevamento è molto cresciuta; il numero dei quadrupedi di interesse zootecnico presenti sulla Terra è aumentato del 60% dal 1961, mentre quello dei volatili d’allevamento si è pressoché quadruplicato.
Le tecnologie che hanno permesso la trasformazione della zootecnia in zootecnia intensiva sono:
– l’evoluzione delle strutture delle stalle, che sono diventate strutture industriali e automatizzate;
– l’applicazione della chimica e della tecnologia all’allevamento attraverso l’introduzione di mangimi complessi e integrati che sono altamente inquinanti;
– la modifica genetica degli animali allevati;
– l’utilizzo di farmaci, vaccini e antiparassitari.
L’industrializzazione ha favorito così la concentrazione di animali in grandi strutture, riducendo drasticamente il bisogno di terreno; al giorno d’oggi, infatti, negli allevamenti industrializzati o senza terra, è concentrata la maggior parte degli animali; non solo bovini, ma anche polli, suini, tacchini e conigli. Circa il 60% della zootecnia in Italia è situata nella pianura padana, che ospita quasi 6 milioni di bovini e 6 milioni e 300 mila suini. Le regioni con il maggior numero di allevamenti intensivi sono la Lombardia, seguita dall’Emilia Romagna e il Piemonte. Gli allevamenti intensivi rappresentano il sistema di produzione in più rapida crescita, che fornisce il 43% del quantitativo globale di carne - era circa un terzo solo nel 1990 - che diventa più della metà per quanto riguarda la carne suina e il pollame.
La metodologia dell’allevamento intensivo, se pur con tecniche diverse, oggi si pratica anche per l’allevamento degli animali acquatici, quali ad esempio molluschi, pesci e crostacei.
Anche in questo caso, questo tipo di zootecnia fa largo uso di metodologie intensive, attraverso l’uso di tecnologie sempre più avanzate. Utilizza metodi di riproduzione artificiali avvalendosi dell’impiego di estratti ipofisari per controllare il processo riproduttivo e anticipare artificialmente la maturazione degli ovuli nelle femmine e del liquido seminale per i maschi.
Negli allevamenti i pesci vengono allevati con metodi artificiali in condizioni intensive in ogni fase: per esempio, nell’allevamento della trota la densità di trote di circa un mese per metro quadrato è di 30.000 elementi. Anche per questo tipo di allevamento si fa largo uso di principi farmacologici quali antibiotici, formalina e antiparassitari. Nell’alimentazione dei pesci si fa uso di diete artificiali, soprattutto sottoprodotti del macello, residui dell’industria dello scatolame, sottoprodotti della lavorazione del pesce e mangimi secchi contenenti farine animali, integratori, antiossidanti e antibiotici. Durante la fase dell’allevamento l’impatto ambientale è rilevante ed è normalmente correlato all'agricoltura chimico-intensiva e si verifica in maniera significativa anche nell’alimentazione carnea da produzione biologica. L'impatto delle deiezioni animali sull'ecosistema è paragonabile, se non maggiore, all’impatto di eventuali pesticidi e fertilizzanti chimici. Soltanto in Italia gli animali da allevamento producono annualmente circa 19 milioni di tonnellate di deiezionia scarso contenuto organico, che non possono essere usate come fertilizzante. Attualmente, lo smaltimento di questi liquami avviene per spargimento sul terreno, il che provoca un grave problema di inquinamento da sostanze azotate, che causa inquinamento nelle falde acquifere e nei corsi d’acqua di superficie. Calcolando il carico equivalente, ovvero trasformando il numero di animali in quello equivalente di popolazione umana che produrrebbe lo stesso livello di inquinamento da deiezioni, in totale, in Italia, gli animali equivalgono ad una popolazione aggiuntiva di 137 milioni di cittadini, cioè più del doppio del totale della popolazione. Anche la qualità e la consistenza degli escrementi animali, connessi con il tipo di allevamento
senza lettiera di paglia, con il foraggiamento degli animali e con il grande impiego di medicinali negli allevamenti intensivi, hanno trasformato quello che in passato era un concime in un rifiuto di cui si impone un attento smaltimento. Studi scientifici hanno dimostrato che il manzo è di fatto l'alimento a maggior impatto ambientale. Gli altri alimenti che hanno i maggiori impatti sono risultati formaggi, pesce e latte. Gli animali vengono considerati “macchine da produzioni alimentari”, possiamo aggiungere, macchine poco convenienti visto che, per produrre poco, inquinano tanto e, soprattutto, consumano tantissimo.
Per combattere l'insorgere di malattie dovute alle tremende condizioni di vita degli animali gli allevatori fanno largo uso di antibiotici in via preventiva, quindi sugli animali sani. Questa pratica provoca l'insorgenza di batteri resistenti alle cure antibiotiche, che si diffondono in natura a partire dai corsi d'acqua dove finiscono le deiezioni degli animali e nell'organismo di chi consuma quella carne, sia perché ingerisce batteri, sia perché introduce continuamente nell’organismo antibiotici a basso dosaggio che non uccidono, anzi rendono resistenti i batteri già presenti nel proprio corpo. Il risultato è una maggiore virulenza di malattie come la tubercolosi, che si credeva ormai definitivamente sconfitta dopo la scoperta della penicillina. Nell'edizione del 21 aprile 2001, il "New Scientist" rivela che alcuni ricercatori hanno scoperto che dentro l'acqua del suolo sottostante fattorie d'allevamento, si trovano batteri resistenti alla tetraciclina (un antibiotico usato comunemente sia in medicina veterinaria che umana), proveniente dai batteri del sistema digestivo dei maiali allevati nelle fattorie. Questo fenomeno di resistenza è diventato assai inquietante per la sanità pubblica mondiale, poiché malattie tipo la tubercolosi, un tempo facilmente curabili tramite antibiotico, diventano sempre più difficili da arginare. L'Organizzazione Mondiale della sanità ha recentemente lanciato un allarme.
Produzione
Il consumo di carne provoca un elevato impatto ambientale anche per un’altra ragione. Infatti, a differenza del cibo di origine vegetale che raggiunge quasi direttamente il consumatore, il cibo di origine animale, oltre a consumare tantissimo cibo vegetale, deve essere sottoposto a vari trattamenti prima di essere consumabile. I processi di lavorazione, produzione e trasporto degli alimenti di origine animale hanno un impatto ambientale elevatissimo. Deve inoltre essere considerata l'energia necessaria per la coltivazione del cibo per gli animali e per il funzionamento degli allevamenti stessi.
Il carico inquinante è di tipo locale mentre il consumo delle risorse è diffuso a livello planetario.
CONSUMO DI RISORSE
Denutrizione e deforestazione nel Terzo Mondo
Circa 24.000 persone muoiono ogni giorno a causa della fame, della denutrizione e delle malattie ad essa collegate. Di queste circa 18.000 sono bambini. Ciò significa che ogni settimana muoiono circa 170.000 persone, ogni mese circa 700.000, ogni anno quasi 9 milioni. In totale, quasi un miliardo di individui non ha cibo a sufficienza, mentre un altro miliardo consuma prodotti animali in maniera smodata. Nei paesi poveri del Sud del mondo sono state incentivate le produzioni di cereali, oleaginose e proteaginose destinate ad essere esportate e successivamente utilizzate come mangime per l'allevamento intensivo del bestiame, bestiame che si trasforma in tonnellate di carne e va a costituire la dieta squilibrata del Nord del mondo. Il 77% dei cereali in Europa non è destinato al consumo umano, ma ai mangimi per animali. Negli USA, l'87%. Nei paesi più poveri, solo il 18%. Su scala mondiale, il 90% della soia e la metà dei cereali prodotti globalmente sono destinati a nutrire gli animali anziché gli esseri umani. (fonte: Database FAO, Food Balance Sheet, 2001).
Secondo quanto riportato dalla Commissione Europea, il nostro continente è in grado di produrre abbastanza vegetali da nutrire tutti i suoi abitanti, ma non i suoi animali. Solo il 20% delle proteine destinate agli animali d'allevamento proviene dall'interno, il resto viene importato dai paesi del sud del mondo, impoverendoli ulteriormente, e sfruttando le loro risorse ambientali. Sei miliardi di umani, tanto onnivori quanto il cittadino medio occidentale, richiederebbero più del doppio delle terre emerse esistenti, perché sarebbe necessaria una quantità di cereali pari a più del doppio dell'attuale produzione. A questa mancanza di spazio si correla il discorso della deforestazione a fini zootecnici e il cambiamento di gestione delle foreste pluviali.
Le grandi aziende zootecniche non permettono la rigenerazione del bosco al termine del ciclo di sfruttamento agricolo del terreno. Il disboscamento operato per far posto agli allevamenti di bovini destinati a fornire proteine animali all'Occidente ha distrutto in pochi anni
milioni di ettari di foresta pluviale. Ogni anno scompaiono 17 milioni di ettari di foreste tropicali. L’allevamento intensivo non ne è la sola causa, ma sicuramente gioca un ruolo primario: nella foresta Amazzonica l'88% dei terreni disboscati è stato adibito a pascolo e circa il 70 % delle zone disboscate del Costa Rica e del Panama sono state trasformate in pascoli. A partire dal 1960, in Brasile, Bolivia, Colombia, America Centrale sono stati bruciati o rasi al suolo decine di milioni di ettari di foresta, oltre un quarto dell'intera estensione delle foreste centroamericane, per far posto a pascoli per bovini. Paradossalmente, questa terra non è affatto adatta al pascolo: nell'ecosistema tropicale lo strato superficiale del suolo contiene poco nutrimento. Dopo pochi anni di pascolo il suolo diventa sterile, e gli allevatori passano ad abbattere un'altra regione di foresta. Gli alberi abbattuti non vengono commercializzati, risulta più conveniente bruciarli sul posto.
Da dati del CIFOR, Centro per la Ricerca Forestale Internazionale, dal 1997 al 2003 l’esportazione di bovini dal Brasile è aumentata del 600% e l'80% di questa crescita si è avuto negli allevamenti siti nella foresta amazzonica Brasiliana.
Da ricerche del'Istituto di Ricerca Spaziale (INPE) del governo Brasiliano è emerso che in soli 10 anni, la regione ha perso un'area due volte il Portogallo.Gran parte di essa è diventata terra da pascolo. Nelle zone semiaride, come l'Africa, lo sfruttamento dei suoli per l’allevamento (i cui prodotti vengono esportati nei paesi ricchi) porta alla desertificazione, cioè alla riduzione a zero della produttività di queste terre. Le Nazioni Unite stimano che il 70% dei terreni ora adibiti a pascolo siano in via di desertificazione. Anche alcune parti delle Grandi Pianure del “West” americano si stanno trasformando in deserto. Ampi fiumi sono diventati ruscelli o si sono prosciugati del tutto lasciando spazio a distese di fango. Dove prima vi erano vegetazione ed animali selvatici di ogni specie, oggi non cresce più nulla e non vi è più vita animale. L’allevamento estensivo di bovini è stato, e continua a essere, la causa di tutto questo.
Il consumo di acqua
Il consumo di acqua da solo è in assoluto l’impatto maggiore. Il 70% dell’acqua utilizzata sul pianeta è consumato dalla zootecnia e dall’agricoltura (i cui prodotti servono per la maggior parte a nutrire gli animali d’allevamento), l’8% è usata nel consumo domestico, il 22% nell'industria (Fonte: Stockholm International Water Institute, SIWI, 2004). L’acqua viene impiegata per l’irrigazione di cereali, soia, girasole, cotone, lino, etc. - spesso importati - che costituiscono gli integratori energetici e proteici per il bestiame; una mucca da latte beve 200 litri di acqua al giorno, 50 litri un bovino o un cavallo, 20 litri un maiale e circa 10 una pecora; senza considerare l’acqua utilizzata per le operazioni di pulizia di stalle, sale di mungitura ed altro. A titolo di esempio, il settimanale Newsweek ha calcolato che per produrre soli cinque chili di carne bovina serve tanta acqua quanta ne consuma una famiglia media in un anno. Nell'agosto 2004 si è tenuta la consueta “Settimana Mondiale dell’Acqua”, a Stoccolma, durante la quale gli esperti hanno spiegato che le riserve d’acqua non saranno sufficienti a far vivere i nostri discendenti con la stessa dieta oggi imperante in Occidente. Non possiamo aumentare la quantità d'acqua presente nel mondo: possiamo solo cambiare modo di usarla. Il che significa da una parte migliorare le tecniche di irrigazione, dall'altra tagliare gli sprechi. Lo spreco maggiore deriva proprio dalla produzione di alimenti animali.
Infine, si sottolinea come anche la produzione biologica di carne e prodotti di origine animale provochi, in termini di consumo di risorse, le medesime ripercussioni negative della produzione con metodi tradizionali, oltre a causare anch’essa sofferenza per gli animali.
Fame nel Sud del mondo, deforestazione, inquinamento, malattie nel Nord del mondo, la vita e la libertà degli animali zootecnici, sono conseguenze delle nostre scelte quotidiane. Eliminando il consumo di tutti i tipi di carne (bovino, agnello, pollo ecc.), pesce e prodotti di origine animale contribuiremo in modo determinante a salvare il nostro pianeta. I cittadini, in futuro, avranno un ruolo determinante per la salvaguardia dell’ambiente, perché con le loro scelte quotidiane condizioneranno l’offerta del mercato e, conseguentemente, i consumi nella nostra società.
Gli animalisti chiedono a tutti gli ecologisti di prendere coscienza dell’elevato impatto ambientale causato dal consumo di carne, pesce, latte e uova e di dare un contributo nella divulgazione di queste riflessioni, in modo che tutti i cittadini abbiano gli elementi per fare le proprie scelte alimentari secondo coscienza.
Segue proiezione del video “VEGAN - per le persone, per il pianeta, per gli animali”
www.nonviolenceunited.org/veganvideo.html
Per approfondimenti sui temi trattati nell’intervento
www.lacincia.it/docs/pelo_contropelo_20100701.pdf Pelo & Contropelo anno 1 n. 1
www.lacincia.it/docs/pelo_contropelo_20101002.pdf Pelo & Contropelo anno 1 n. 2
www.lacincia.it/docs/pelo_contropelo_20110103.pdf Pelo & Contropelo anno 2 n. 1
* direttore editoriale periodico Pelo&Contropelo – GCT
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