di
Marinella Robba *
Gentili lettori
in questo numero vorrei proporvi
una riflessione. Sono di uso comune espressioni come «l’hanno ucciso come
un animale», «neanche gli animali si trattano così», «scrive
come un cane», «sudava come un maiale», «hai il cervello
di una gallina», «è stato sbattuto in cella come un animale»
e tante altre. Tutte espressioni che sottendono e, indirettamente, legittimano
l’atteggiamento di superiorità della specie umana rispetto alle altre. E la
nostra società ne è così impregnata che non ci facciamo caso. Asserire la
superiorità della specie umana sugli altri animali ha il sapore amaro di un
dogma e fa comodo: «Dio ha detto che l’uomo deve dominare gli animali»,
«prima pensiamo alla gente povera», «cosa mangio se elimino la
carne?».
Tutte scuse, la verità è un’altra.
Gli esseri umani sono abituati a cibarsi di animali e dei loro derivati, ad
utilizzare
le loro pelli e pellicce. E chi
dalla sofferenza degli animali trae profitto si guarda bene dal renderne note
le implicazioni. Anzi, utilizzando l’artificio della pubblicità ingannevole,
mostra galline felici razzolanti nell’aia, famiglie in armonia con gli animali
da fattoria, mucche ch giocano con i bambini. Tutti inganni. La realtà è ben
diversa: gli animali vengono sfruttati da chi produce carne, latte e uova e poi
barbaramente macellati quando non servono più. Ma come non menzionare l’ultima
trovata pubblicitaria? Il mugnaio Banderas che sfida la gallina Rosita. Terminato
il gioco, il mugnaio burlone le permette di riposare su un comodo cuscino. Non
solo una pubblicità ingannevole, ma una vera e propria beffa a scapito di chi è
consapevole della tremenda sofferenza delle galline ovaiole che, costrette a
vivere la loro breve esistenza in gabbie formato A4, impazziscono e diventano cannibali.
Per non parlare della tragica sorte dei pulcini maschi triturati vivi per la
produzione di mangimi.
Vivisezione, pellicce, circhi,
zoo, caccia, pesca, allevamenti, macellazione e ogni altro tipo di sfruttamento degli
animali hanno un unico comune
denominatore: si chiama specismo.
Come per il razzismo esistono razze superiori e razze inferiori, così lo
specismo considera una specie dominante rispetto alle altre e, pertanto,
legittimata ad utilizzarle a proprio “uso e consumo”. Noi esseri umani ci
consideriamo più intelligenti degli altri animali e per questo li dominiamo. Ma
cosa sappiamo delle loro capacità intellettive? Poco o niente. E’ lecito
sopraffare gli esseri umani che hanno limitate facoltà intellettive?
Sicuramente no. Persone disabili, bambini e animali utilizzano i sensi come non
facciamo più da tempi immemorabili. Un animale avverte prima rispetto ad un
essere umano l’imminenza di una catastrofe naturale e, se non è imprigionato, si
salva. Abbiamo perso facoltà importanti per la nostra sopravvivenza per
lasciare spazio alla razionalità. Allora chi è veramente limitato? Pochi, infatti,
sanno che la bistecca ed il trancio di pesce quando erano in vita avevano
carattere, personalità e
socialità proprie, come tutti gli altri animali, inclusi noi. I maiali, ad esempio,
al contrario di cosa si pensa comunemente, sono molto puliti, non fanno mai i bisogni
nella zona in cui mangiano e dormono. Studiosi del comportamento animale hanno dimostrato
che le pecore sono intelligenti: ricordano volti ed eventi per anni. I pesci
sono sensibili, hanno personalità e provano dolore quando vengono feriti. Le
mucche sono le madri più protettive che esistano in natura e le galline comunicano
con i piccoli non ancora nati, che rispondono pigolando dall’interno dell’uovo.
Ma il bieco ingranaggio commerciale li considera solo beni di consumo. Le
mucche da latte, immobilizzate per tanto tempo negli allevamenti intensivi,
hanno zampe piccole e ossa molli che le rendono incapaci di muoversi autonomamente.
Noi possiamo accettare
passivamente tutto questo o rifiutarlo perché, come affermava Ralph Nader,
storico fondatore del movimento consumerista statunitense: «il consumatore
vota ogni volta che va a fare la spesa». Possiamo decidere di non
farci prendere in giro dalle pubblicità. Scegliere prodotti senza condizionamenti
e secondo coscienza, decidendo di “votare” a favore di un tipo di commercio
etico, cruelty-free.
* da Pelo &
Contropelo , periodico animalista - anno 3 n.2
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