Era toccato
alla tigre di Giava negli anni ‘80, allo stambecco dei Pirenei nel 2000 e al
delfino di Baiji River nel 2006 solo per citare alcuni tra i più famosi. Ora
tocca a Sudan, l’ultimo rinoceronte bianco settentrionale di sesso maschile
rimasto sulla faccia della Terra e già idealmente catalogabile come
l’ultimo rappresentante di una specie destinata all’estinzione, visto che è
ormai troppo vecchio per riprodursi. Negli ultimi decenni il rinoceronte bianco
settentrionale, una delle due sottospecie di rinoceronte bianco, ha vissuto
principalmente nelle praterie di erba alta e nella savane di Uganda, Ciad, Sudan,
Repubblica centrafricana e Repubblica Democratica del Congo, ma dal 1960 il
numero di esemplari di questa specie è calato drasticamente, passando dai circa 2mila ai 7 censiti nel 2009. Le cause principali di questo
drammatico declino risiedono nella deforestazione selvaggia e nelle caccia finalizzata
al contrabbando di corni, che sul mercato nero valgono attualmente più di oro,
diamanti e cocaina.
Dal 2009
Sudan, al quale è stato anche asportato il corno per scoraggiare i bracconieri,
vive nella riserva Ol Pejeta in Kenya, dove è sorvegliato 24 ore su 24 da una squadra di ranger armati, che lo proteggono da un possibile
attacco da parte dei bracconieri. La tenacia con cui i ranger proteggono Sudan
ha oggi un forte valore simbolico e racconta come l’uomo sia una continua e
costante minaccia alla biodiversità, ma anche un' argine al bracconaggio e una risorsa visto che ad oggi i
tentativi di fecondazione in vitro del rinoceronte bianco
settentrionale rappresentano l’unico modo per sovvertire gli esiti di
un’estinzione ormai certa. Negli ultimi anni lo sperma di rinoceronte è stato raccolto e congelato,
tuttavia, i tentativi di fecondazione artificiale compiuti finora non hanno
dato esito positivo. In alternativa, nella riserva di Ol Pejeta, si stanno
già cercando di incrociare naturalmente le due femmine di rinoceronte bianco
del nord con un maschio del sud, una soluzione che non porterebbe a una
progenie pura al 100%, ma permetterebbe di conservare almeno una parte del
patrimonio genetico della specie
.
Le
attenzioni per Sudan sono certamente pari a quello per il leone Cecil, uno
degli animali più famosi del mondo che per 13 anni è stato il simbolo del Parco Nazionale Hwange nello Zimbabwe. Anche se non rientra in una
specie a rischio di estinzione (non per adesso almeno) il grosso maschio dal
1999 faceva parte di un programma di studio dell’università di Oxford che sta
cercando di determinare l’impatto dei safari sulla popolazione di grandi felini.
Purtroppo è stato ritrovato ucciso il 1 luglio scorso e le autorità hanno fatto
sapere che stanno ricercando un dentista del Minnesota, Walter Palmer, non
nuovo ad esperienze del genere, sospettato di aver pagato 50.000 dollari per
poter uccidere il più celebre leone del Paese africano. Già nel 2006
Palmer era stato processato per l'uccisione di un orso bruno nel Wisconsin,
ricevendo un anno di sospensione dalla caccia e circa 3mila dollari di multa.
Intanto il dentista del Minnesota è stato sommerso di critiche sul web per la
vicenda legata a Cecil. Su Internet la petizione "Giustizia per Cecil" ha raccolto quasi 700mila
firme digitali. In seguito
alle proteste anche il suo studio dentistico, preso di mira dagli
ambientalisti, ha sospeso la sua attività.
La morte del
felino è stata confermata anche dalla Zimbabwe Professional Hunters and Guides
Association (Zphga, l’associazione dei cacciatori dello Zimbabwe) che ha annunciato
che sono già stati arrestati, con l'accusa di bracconaggio, il cacciatore
professionista Theo Bronkhorst e il fattore Honest Ndlovu. I due avrebbero
aiutato il killer di Cecil. Purtroppo l’uccisione di leoni non è un
fenomeno isolato. Secondo i ricercatori di Oxford che seguivano Cecil con il
GPS, "dal 1999 sono morti 34 dei 62 leoni che stavano studiando
nell’Hwange, 24 di questi sono stati ammazzati da cacciatori". Senza
contare che il bracconaggio dei leoni maschi dominanti fa anche delle vittime
collaterali visto che i 6 cuccioli figli di Cecil verranno sicuramente uccisi
dal nuovo maschio che prenderà il comando del suo ex branco.
Beks Ndlovu, di African Bush Camps, da anni impegnata ad organizzare safari
naturalistici in Africa ha ribadito la sua contrarietà alla legalizzazione ed
alla pratica della caccia dei leoni in qualsiasi area. "Personalmente
chiederò ai Parchi Nazionali dello Zimbabwe ed ai funzionari del Governo che si
impegnino a fermare immediatamente la mattanza di leoni” ha dichiarato
Ndlovu preoccupato per quel che è successo al pari di molte altre
organizzazioni ambientaliste ed animaliste. Cecil era molto conosciuto e tanti
turisti venivano a vedere questo animale e la sua famiglia. Per lo spagnolo Luis
Muñoz, direttore dell’Ong Chelui4lions, si tratta di “un caso simbolo” che
“evidenzia il problema della caccia incontrollata in Africa. Certo è che la
morte di Cecil sta aprendo gli occhi al mondo su quel che succede in Africa”.
Ma
rinoceronti e leoni non sono la sola specie in pericolo. Tra loro possiamo
tranquillamente inserire anche i guardia parco. Un caso esemplare è quello del Parco di Virunga in Congo dove sono ormai 140 le guardie uccise negli
ultimi vent’anni in scontri coi bracconieri che ammazzano i gorilla per farne
souvenir. Non
sarebbe esagerato dire che si tratta di una professione quasi estinta o che
almeno lo sono alcuni dei suoi più coraggiosi interpreti. L’ultima battaglia è
avvenuta qualche settimana fa e ha lasciato a terra in questa foresta da “cuore
di tenebra” undici guardie forestali che avevano firmato per proteggere gli
ultimi ottocento gorilla di montagna Silverback del Congo, e invece si sono
ritrovate in guerra, la stessa che riporta alla mente il sacrificio di Dian
Fossey, la zoologa americana che fu uccisa in Ruanda mentre lavorava per
salvarli.
Virunga ha
insieme la fortuna e la maledizione di possedere tutto dentro i confini di un
parco che l’Unesco ha dichiarato Patrimonio Mondiale dell’Umanità: montagne imperiose come la catena
del Rwenzori, pesci a non finire nel lago Edward e poi miniere d’oro,
giacimenti di petrolio, fitte foreste per legname e carbone di contrabbando, il
tutto al crocevia della guerra che dilania il Congo da oltre vent’anni, e ha
fatto tra i 5 e gli 8 milioni di morti, tenendo ben distanti dal Parco quei
turisti che con le loro visite dovrebbero insieme proteggerlo e aiutare a
finanziarlo. Ad aiutare il Parco c’è adesso l’Unione Europea, che ha affidato i programmi di cooperazione
ambientale prima al piemontese Filippo Saracco e ora al lombardo Daniele De
Bernardi. “La sfida - ha recentemente spiegato De Bernardi - è dimostrare alla
popolazione che il parco è una risorsa anche per loro”. Ad esempio
attraverso la costruzione di centrali idroelettriche come quella di Mutwanga, e
quella che verrà inaugurata a Matebe in dicembre. “Prima, quando passavano le
auto delle guardie forestali, la gente tirava sassi. Ora che hanno portato
l’elettricità, nei villaggi applaudono” ha concluso De Bernardi. Basterà per
lasciare meno sole le guardie e i gorilla? Anche qui il rischio è che ne
potrebbe rimanere soltanto uno (forse…).
* 31 luglio 2015 - Foto: Unimondo.org
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